Attorno all’improvvisazione, attorno alla vita

Brevi note a margine

di Lia De Marco

Il titolo del libro Attorno all’improvvisazione. Tre conversazioni con musicisti pugliesi a partire da un Festival (Poiesis editrice) di Alberto Maiale, con il contributo di Gaetano Vavalle, potrebbe far pensare che si tratti di un testo (esclusivamente) per specialisti impegnati nella ricerca musicale o comunque per artisti proiettati in una dimensione di performance espressiva di alto livello.

Questo lavoro si inserisce, senza dubbio, nella già ricchissima letteratura relativa ai rapporti tra filosofia e musica con l’intento di indagare il tema dell’improvvisazione, attraverso lo sguardo dei musicisti che si sono esibiti sul palcoscenico dell’AlberobelloJazz Festival.

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Nel rapporto tra musica, strumento, composizione istantanea e musicista, sono state indagate le forme dell’arte che coinvolgono, nel momento folgorante della performance, il pubblico, non solo a livello emozionale, ma anche artistico grazie all’influenza diretta che esso svolge sul performer, sul palco.

L’autore, docente di filosofia, evidenzia una radicata esperienza di ricercatore e saggista, mettendo mirabilmente in gioco la descrizione delle infinite sfumature dell’improvvisazione musicale, con un approccio che non pare in alcun caso ermeneuticamente debole quanto piuttosto punto di partenza per un’esplorazione antropologica ed etica secondo la lezione di Deleuze e di Jankélévitch.

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In tale ottica, vengono presentate tre esperienze artistiche ed umane differenti, tre colloqui con musicisti legati dal profondo rispetto per l’arte, tre risposte eterogenee sebbene “legate dal filo rosso che è l’idea della musica di ricerca, costante, indefinita”.

Giuseppe Amatulli, il musicista-virtuoso, offre il modello di un’improvvisazione per “ponti modulanti”, ovvero per passaggi da un mood ad un altro, in un flusso continuo verso il kairos, nella contingenza dell’attimo della rivelazione e dell’evocazione, alternandosi tra il dono all’altro e la necessità dell’artista.

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Giuseppe Amatulli

Gianni Lenoci, il musicista-filosofo, si pre-occupa dell’irrepetibilità dell’improvvisazione, che cessa di essere quando si tenta di replicare il gesto. L’improvvisazione è liquida, mentre la composizione è solida: una scelta – direi – etica basata sulla concentrazione, sulla lentezza, sulla fragilità del limite, tanto da costituire un gioco irresistibile tra visibile ed invisibile, tra tutto e niente, tra detto e non-detto, un’esperienza intima e di grande libertà immaginifica, come il silenzio.

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Gianni Lenoci

Infine, Roberto Salahaddin Re David, il musicista-mistico, che nella musica vive le tante memorie del corpo e della mente in un viaggio quasi ascensionale oltre se stesso, verso una dimensione ancestrale, portatore di una memoria più grande.

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Roberto Salahddin Re David

La musica appare come metafisica dell’invisibile, affascinante e stimolante, come un’illuminazione, ma al tempo stesso esilio dalla vita, distanza dal mondo: un universo – questo narrato – variegato dalle tante tonalità emotive (stimmung), stati d’animo con cui ci apriamo al mondo in un accordo universale. La musica si nutre di tali tonalità emotive, che convergono in un desiderio permanentemente amante, come quello della filosofia stessa, sempre aperto, sempre in ricerca, sempre radicale: completa così – nelle riflessioni della postfazione – Mario De Pasquale.

Eppure “Attorno all’improvvisazione” non è (semplicemente e) solo questo. La sua lettura scorre fluida e lieve sino a quando, giunti in conclusione delle sue pagine, si intuisce che è un testo capace di andare oltre la musica e la filosofia della musica. Il lettore scopre con gusto che i discorsi sull’improvvisazione musicale nascondono tra le loro righe un insegnamento metaforico sulla vita, sugli altri, su noi stessi.

La musica si mostra in tutta la sua valenza est-etica: una maestra di vita che si dona a noi lettori attraverso immagini preziose e potenti. Ad uno sguardo attento, difatti, non possono sfuggire le ricercate sfumature del testo.

È possibile darne un piccolo assaggio, prima di rimandare alla sua lettura integrale: la musica è paragonata all’acqua, che riesce ad infiltrarsi anche nel più piccolo anfratto per non poter poi più esser controllata, oppure permette di apprezzare il silenzio, che non è mai spazio vuoto in senso negativo, perché al contrario solo nel vuoto si pongono le condizioni per cartografare il reale e creare mappe rizomatiche.

Tra le altre, mi preme riportare la narrazione di una profonda lezione di vita personale: “Ecco, cerco di guardare a tutto quello che mi accade sempre in una prospettiva di positività, di amore, di progetto. Anche nel pieno delle negatività: quando dio ti toglie, significa che vuole darti qualcosa di più grande». Come è possibile non cogliere questo invito forte – cogente per tutti oltre qualsiasi rimando – al radicarsi delle proprie azioni nel riconoscimento dello sguardo altrui per condividere la costruzione di un sé-noi?

La lettura è ormai conclusa, ma le riflessioni da essa suscitate non ancora: la musica non perde mai la sua aura sacrale, neppure quando improvvisa; non assume i contorni sfumati dell’ineffabile e dell’in-determinato che sfugge, perché essa è ancora una cura per l’anima e la mente.

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